Domenica mattina,
dopo la messa nella comunità di S. Teodosio, ultima zona del territorio della
nostra parrocchia, a circa 15 km dalla nostra casa, devo recarmi in un'altra comunità,
S. Francesco, per le confessioni. Per la mancanza di auto, decido di andare con
la chapa, il tradizionale e comune mezzo di trasporto che la gente usa.
Cos’è una chapa?
Difficile da descrivere…
La si può
definire un pulmino per passeggeri, un carro per persone; per me… è un miracolo
ambulante!

Entrando nella
mia chapa, con la lamiera del fondo bucherellata, vari pezzi del cruscotto
mancanti, tetto rabberciato, sedili vecchi e sporchi a causa della polvere
delle piste mozambicane, ho gettato uno sguardo per trovare un posto vuoto e ce
n’era uno sul motore, tra il sedile del conducente e quello del passeggero di
fianco.
Il sedile aveva
un’altezza di circa quindici centimetri, dunque, le ginocchia mi arrivavano
quasi in gola e lo spazio per sedere era poco. “Non importa” – mi sono detto tra me e me – “così capisco meglio ciò che la gente vive tutti i giorni”.
Comincia, in
tal modo, l’avventuroso viaggio tra buche e dossi, sali e scendi che fanno
invidia alle “montagne russe” e il tutto avvolto in una nuvola di polvere che avvolge
uomini e mezzi.
Sulla porta,
rigorosamente aperta, della chapa, staziona un giovane di circa 20 anni,
vestito di poveri panni, che mi accoglie con un sorriso e mi saluta. È lo
“chapeiro”, il controllore che fa salire e scendere i passeggeri e ritira il
denaro delle corse.
Durante il
viaggio, tra il trambusto infernale del motore – “condito” di bruschi colpi di
mano del conducente che tenta di inserire le marce che scappano - e il
polverone della strada, tentiamo di scambiare qualche parola. Mi dice che non
può andare a pregare, di domenica, perché lavora, ma crede in Dio e Dio –
aggiunge - “Non sta per strada, ma nel
cuore”, e si batte il petto!
È proprio vero,
mi dico, Dio sta qui, nel mio cuore e nel suo cuore, nel cuore di tutti noi che
stiamo in questa chapa, nel cuore di ogni uomo, e vede e sente e gioisce e
soffre con noi uomini.
Ascolto le
parole di questo povero giovane con attenzione, come fosse un catechismo che
sto leggendo per capire meglio il volto di Dio.
Arrivo a
destinazione e - sorpresa!!! - quando porgo il prezzo del mio trasporto al giovane
chapeiro prima di scendere, lui, con un bel sorriso, mi fa segno con la mano
destra di non volere i soldi.
In pochi
secondi ho pensato a come comportarmi: insistere perché accetti il frutto del
suo lavoro o permettergli di mostrarmi quanto grande è il Dio che abita nel suo
cuore da spingerlo a fare questo gesto di gratuità?
Opto per la
strada più difficile: mi lascio amare dal povero e accetto di essere io quello
che “dipende” dalla sua offerta di amore.
Anche in chapa…
si conosce di più Dio, conoscendo il cuore dell’uomo!
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