Prestiamo ancora spazio a Federico che sta quasi concludendo la sua esperienza di visita al Mozambico e che condivide con tutti noi un altro stralcio del "suo cuore" e dei suoi sentimenti nell'incontro con questo popolo dai "constasti netti".
Torniamo alla macchina e ripartiamo. Io ho la bocca sigillata, sono sconvolto.
Ricordo quello che ho visto e
non posso non immaginare lo strazio di un genitore che non sa come crescere i
figli, che deve convivere ogni giorno con la possibilità di perderli. Mi
tornano alla mente i versi che Dante mise in bocca al Conte Ugolino:
“Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?”.
E’ una serata amara.
Maputo, 6 settembre 2014
Carissimi,
ogni giorno qui in Mozambico mi
riserva emozioni e sofferenze forti. Spesso gli uni seguono le altre rapidamente,
a volte quasi si confondono.
D’altra parte, sto iniziando a capire
che l’Africa è terra di contrasti netti, decisi. Contrasti tra ricchezza e
povertà estrema, tra onestà e corruzione, tra amore e guerre fratricide.
Anche questa volta mi soffermo
su un singolo episodio, uno squarcio di vita che mi ha tolto le parole di bocca
per un po’ di tempo.
Martedì pomeriggio Padre
Antonio, Manuela (un’altra missionaria) ed io partiamo per far visita ad alcune
famiglie della parrocchia. A volte è necessario verificare direttamente
l’esistenza di alcuni problemi, altre si passa per un consiglio, altre ancora
solo per un saluto ed una preghiera insieme.
La prima sosta è presso una
famiglia il cui figlio maggiore è in carcere. C’è un piccolo edificio in
blocchi di cemento (due stanze) e una capanna di legno con il tetto in lamiera.
Il padre ci accoglie in
quest’ultima (parliamo di non più di 6-7 metri quadrati, sabbia come pavimento
e tre pietre che fungono da focolare). I missionari si informano sullo stato
della famiglia, valutano la necessità di eventuali aiuti.
Mentre parliamo un gruppetto di
bambini gioca nel cortile. Ad un certo punto uno di questi entra e si presenta:
è la nipotina del padrone di casa, una piccola di sette anni.
Padre Antonio le chiede come
sta, se va a scuola, dove abita. La bimba risponde e capiamo che ha una sorella
malata.
Andiamo a vedere.
Pochi passi più in là troviamo
la casa: un altro piccolissimo edificio in muratura. La porta è socchiusa e
quello che intravedo già mi fredda l’anima: una bambina di circa cinque anni,
buttata di fianco sul cemento; le sue coperte sono dei sacchi e non ha nemmeno
un cuscino dove poggiare la testa; le gambe e i piedi sono deformati e
ovviamente, non può muoversi; le mosche la tormentano.
Ciò nonostante a tratti ci
sorride. Si chiama “Lindinha”…
E’ nelle mani della sorellina
maggiore: il papà se n’è andato e la mamma passa tutto il giorno a vendere prodotti
lungo la strada.
Non possiamo che farle qualche
carezza e chiedere quando sarà possibile parlare con la madre per capire come
aiutarla.Torniamo alla macchina e ripartiamo. Io ho la bocca sigillata, sono sconvolto.
Padre Antonio lo intuisce,
attende qualche minuto e poi mi lancia una provocazione: “Capisci perché Gesù disse che i poveri li avremo sempre tra noi?
L’indifferenza dell’uomo Federico, l’indifferenza…”.
Quelle immagini e quelle parole
continuano a girarmi per la testa.
“Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?”.
Non so perché, li lessi tanto
tempo fa…
Medito sulle parole di Padre Antonio,
su quell’indifferenza che Papa Francesco, in occasione di uno dei tanti
disastri di Lampedusa, ha detto essere ormai globalizzata.E’ una serata amara.
Un abbraccio. Federico
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