Mi servirebbe la macchina fotografica per mostrarvi quei volti e quei corpi, ma... guardateli con i miei occhi!
Questa mattina vado all'ospedale psichiatrico di Maputo per visitare Vicente, un giovane ricoverato in questa struttura da alcuni giorni.
Varco la porta di entrata e mi reco al capezzale del malato. Cosa dire?
Mezzo intontito dai farmaci cerco di fargli qualche domanda per mostrargli il mio affetto ed il mio interesse, in questo momento di sofferenza.
Vicente è un giovane che è stato abbandonato da piccolo ed è cresciuto nella Casa del Gaiato, per molti anni.
Ultimamente la sua vita, uscito da quella istituzione, sta conoscendo momenti difficili di ricaduta.
Non riesco a sapere molto da Vicente, che ha gli occhi semichiusi per il sonno. Gli dico che ho comprato delle banane per lui. Scatta come una molla perchè ha fame. Sbuccio tre banane e le divora in pochi secondi. Mentre gli offro la frutta, un altro giovane mi guarda desideroso di riceve anche lui una banana. Gliela sbuccio e anche questi la mangia con voracità.
Nella stessa stanza c'è un giovane di circa 16 anni, di cui nessuno conosce il nome e che chiamo l'Innominato. Con gli occhi fissi nel nulla, impietrito, statuario, in piedi con le gambe divaricate e assulutamente immobile.
Cerco di parlargli, ma non risponde e mi dicono gli altri malati che non parla. Dopo aver accudito Vicente e l'amico, mi avvicino all'Innominato. Gli parlo, ma invano. Ad un certo punto mi viene un'idea. Gli tendo la mano e lo fisso negli occhi per chiedergli di rispondere al mio gesto di affetto. Lui fissandomi, alza un pochino la mano e afferra delicatamente la mia. E' avvenuto un miracolo. Il giovane mi trattiene la mano, allora approfitto per offrirgli una banana. Gliela sbuccio e gliela accosto alla bocca. I movimenti dell'Innominato sono lenti, quasi alla moviola. Apre un pò la bocca per far entrare un pezzo di quella frutta e mastica lentamente... ma pian piano la mangia tutta.
Mentre lo fisso, non posso trattenere le lacrime nel vedere quegli occhi nerissimi e profondi, che nascondono il mistero di una sofferenza che non posso capire perchè è sua e non mi è dato nè di entrare in essa nè di poterla cancellare, ma sì di alleviarla con quella stretta di mano e quella banana, "segni" del mio amore fraterno per lui.
Giro l'angolo per salutare gli altri ammalati e vedo un altro adolescente legato al letto, completamente nudo. Mi avvicino per salutarlo e il giovane comincia a chiamarmi "papà" e a chiedermi di aiutarlo. Mio Dio cosa fare? Mi chiede di slegarlo ma non posso. Mi racconta qualcosa, farfugliando e incollando varie frasi sconnesse in mezzo alle quali capisco chiaramente: "Dio mi perdona, Dio è buono". Le mie lacrime di impotenza si frammischiano alle sue parole. La sola cosa che posso fare è accarezzarlo sulla testa, rassicurandolo che veramente Dio è buono e lo perdona.
Il corpo magro e teso per la posizione, le mani legate al letto, il torace ingrossato...: tutto mi ha fatto vedere Gesù in croce. Non sapevo proprio che fare. Ho cercato un infermiere per capire meglio, ma non ho trovato nessuno che fosse disponibile a darmi spiegazioni. Sono uscito dall'ospedale mentre il "crocifisso" mi gridava dietro: "Se te ne vai, papà, qui muoio". Tornerò per capire cosa possiamo fare per alleviare tanto dolore.
Intanto chiedo di pregare con me perchè Dio ci indichi una strada.
Questa mattina vado all'ospedale psichiatrico di Maputo per visitare Vicente, un giovane ricoverato in questa struttura da alcuni giorni.
Varco la porta di entrata e mi reco al capezzale del malato. Cosa dire?
Mezzo intontito dai farmaci cerco di fargli qualche domanda per mostrargli il mio affetto ed il mio interesse, in questo momento di sofferenza.
Vicente è un giovane che è stato abbandonato da piccolo ed è cresciuto nella Casa del Gaiato, per molti anni.
Ultimamente la sua vita, uscito da quella istituzione, sta conoscendo momenti difficili di ricaduta.
Non riesco a sapere molto da Vicente, che ha gli occhi semichiusi per il sonno. Gli dico che ho comprato delle banane per lui. Scatta come una molla perchè ha fame. Sbuccio tre banane e le divora in pochi secondi. Mentre gli offro la frutta, un altro giovane mi guarda desideroso di riceve anche lui una banana. Gliela sbuccio e anche questi la mangia con voracità.
Nella stessa stanza c'è un giovane di circa 16 anni, di cui nessuno conosce il nome e che chiamo l'Innominato. Con gli occhi fissi nel nulla, impietrito, statuario, in piedi con le gambe divaricate e assulutamente immobile.
Cerco di parlargli, ma non risponde e mi dicono gli altri malati che non parla. Dopo aver accudito Vicente e l'amico, mi avvicino all'Innominato. Gli parlo, ma invano. Ad un certo punto mi viene un'idea. Gli tendo la mano e lo fisso negli occhi per chiedergli di rispondere al mio gesto di affetto. Lui fissandomi, alza un pochino la mano e afferra delicatamente la mia. E' avvenuto un miracolo. Il giovane mi trattiene la mano, allora approfitto per offrirgli una banana. Gliela sbuccio e gliela accosto alla bocca. I movimenti dell'Innominato sono lenti, quasi alla moviola. Apre un pò la bocca per far entrare un pezzo di quella frutta e mastica lentamente... ma pian piano la mangia tutta.
Mentre lo fisso, non posso trattenere le lacrime nel vedere quegli occhi nerissimi e profondi, che nascondono il mistero di una sofferenza che non posso capire perchè è sua e non mi è dato nè di entrare in essa nè di poterla cancellare, ma sì di alleviarla con quella stretta di mano e quella banana, "segni" del mio amore fraterno per lui.
Giro l'angolo per salutare gli altri ammalati e vedo un altro adolescente legato al letto, completamente nudo. Mi avvicino per salutarlo e il giovane comincia a chiamarmi "papà" e a chiedermi di aiutarlo. Mio Dio cosa fare? Mi chiede di slegarlo ma non posso. Mi racconta qualcosa, farfugliando e incollando varie frasi sconnesse in mezzo alle quali capisco chiaramente: "Dio mi perdona, Dio è buono". Le mie lacrime di impotenza si frammischiano alle sue parole. La sola cosa che posso fare è accarezzarlo sulla testa, rassicurandolo che veramente Dio è buono e lo perdona.
Il corpo magro e teso per la posizione, le mani legate al letto, il torace ingrossato...: tutto mi ha fatto vedere Gesù in croce. Non sapevo proprio che fare. Ho cercato un infermiere per capire meglio, ma non ho trovato nessuno che fosse disponibile a darmi spiegazioni. Sono uscito dall'ospedale mentre il "crocifisso" mi gridava dietro: "Se te ne vai, papà, qui muoio". Tornerò per capire cosa possiamo fare per alleviare tanto dolore.
Intanto chiedo di pregare con me perchè Dio ci indichi una strada.
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